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27 Maggio 2022 - 13:01Chiara a Federico: “Mi posti il selfie che ho instagrammato su fb?”, Fabrizio agli amici prima di una partita di calcetto: “Raga stasera faccio una diretta su Fb e poi la condivido anche nelle storie su Insta”. Luigi appassionato di cinema ad Andrea che scherzando lo minaccia di rivelargli il finale del film che sta per vedere: “Non mi spoilerare il finale!. Lucia: “Carla lo sai che Mario mi ha messo like al selfie?” Carla, l’amica gelosa: “Ah ma davvero, non me l’aspettavo!”.
Sono queste alcune delle espressioni di uso quotidiano che utilizzano i giovani sui social. La lingua dei social costituisce un osservatorio privilegiato sul loro modo di esprimersi. I canali attraverso cui più si muovono i ragazzi sono Facebook, WhatsApp e Instagram. Le nuove generazioni si esprimono col texting (o text messaging), il linguaggio dei messaggi elettronici, cioè quello che usiamo su pc, tablet, smartphone e simili. Gli adolescenti utilizzano il mondo della rete e dei social per restare sempre connessi, altra parola molto in voga. La velocità è il verbo della modernità che si riversa in molteplici aspetti della nostra vita quotidiana.
Lingua italiana e social: un rapporto in evoluzione
La lingua è come un organismo in continua evoluzione, uno strumento duttile pragmatico funzionale alle esigenze dei parlanti, per cui si adegua ai cambiamenti sociali e culturali, li riflette. La lingua che usiamo sui social è l’italiano standard che presenta uno scollamento rispetto a quello normato dalle grammatiche. Nei social si assiste quindi a una commistione tra scritto e parlato.
Gli studiosi in particolare hanno definito la lingua sui social parlata-scritta, discorso digitato oppure e-taliano mettendo in evidenza che la caratteristica più saliente della modalità di utilizzo della lingua sui social è di essere digitata. Ed è questa lingua, ovvero il discorso parlato-scritto che trova espressione in rete.
Lingua social: scrivi come parli
Sui social tendiamo a scrivere come parliamo, per cui come il parlato si caratterizza per alcune semplificazioni nelle interazioni col nostro interlocutore. Una caratteristica che è possibile ravvisare nel linguaggio costruito su social è la disinvoltura estrema nell’uso dell’ortografia, l’allentamento dei legami morfo-sintattici, quasi a sottolineare che ciò che vogliamo dire, ovvero il messaggio, come se la comunicazione si svolgesse faccia a faccia, conta più di come lo esprimiamo, ovvero della forma e quindi è meno vincolato al rispetto delle strutture grammaticali proprie di ogni lingua.
Questo, a parte casi di ignoranza becera non rari per la verità, soprattutto perché le interazioni sono molto più contigue al linguaggio parlato che allo scritto o quantomeno così vengono percepite dagli utenti. Pertanto riflette le sfumature, i sottintesi, le presupposizioni e approssimazioni di una comunicazione veloce in tempo reale.
L’italiano che parliamo sui social
Il mutamento linguistico può porsi su diversi piani: fonetico, fonologico, morfologico, sintattico e semantico. Ma di cosa è fatta questa lingua? Partiamo dalle abbreviazioni e dalle tachigrafie. Esempio delle prime: si può scrivere asp per aspetta, d dv dgt? da dove digiti? qnt per quanto nn per non, oppure le tachigrafie la k per il ch, x per per, 6 al posto della voce del verbo essere. Vi sono poi le emoticon e le emoji che rappresentano anche lo stato d’animo del nostro interlocutore e quindi vanno ad integrare la conversazione con aspetti desunti dal linguaggio non verbale.
Questi aspetti evidenziano come la lingua con cui si scrive in rete presenta molti elementi in comune col parlato quotidiano. Alcuni esempi di parole più in uso nei social Whatsappare molto in uso fa riferimento a WhatsApp, la nota messaggistica istantanea, per inviare messaggi a cui è possibile aggiungere anche foto dal cellulare. Flammare ovvero da flame fiamma, ovvero scrivere messaggi offensivi, alzare i toni della discussione. Curiosa poi la risemantizzazione funzionale che si è avuta con la parola troll. In origine questo termine indicava nelle leggende scandinave un essere demoniaco di boschi, montagne, luoghi romiti, assimilabile all’orco di altre tradizioni popolari europee.
Nel gergo di internet è diventato un utente che partecipa a una discussione al solo pretestuoso scopo di creare polemica e provocare gli altri partecipanti. Nel gergo internet è noto anche l’antidoto al troll: don’t feed the troll, ovvero non dare da mangiare al guastafeste perché la cosa migliore da fare è ignorarlo sistematicamente. Buggato invece fa riferimento ai bug, ovvero a qualche errore di programmazione. Nel 2000 in questo senso si è parlato baco del millennio relativo al cambio di data tra il 31 dicembre 1999 e il 1 gennaio 2000 che ha causato dei problemi in alcuni sistemi di elaborazione dati nel riconoscere il cambiamento di data.
Vi sono poi termini nati in rete ne hanno varcato per così dire i confini per diffondersi anche in senso più generale, è questo il caso di virale, account, screenshot, downlodare o backuppare. Vi sono poi alcuni termini inglesi che vengono italianizzati, è questo l’esempio di googlare ovvero fare una ricerca in rete, e tutti i termini che derivano dal frequentare i principali social esistenti e quindi twitter twittare postare chattare linkare, taggare, instagrammare ovvero comunicare attraverso Instagram, like ovvero mettere mi piace al contenuto di un altro utente, condividere stories ovvero foto testi e brevi video inseribili nel proprio profilo su Instagram, spoiler da cui spoilerare significa invece rivelare la trama di un film.
Social: come le parole cambiano di significato
Spesso in particolare sui social si assiste al fenomeno linguistico noto come risemantizzazione funzionale, ovvero l’attribuzione di un nuovo significato a un elemento lessicale esistente. Basti solo pensare a un social come Facebook che ha reso familiari espressioni quali aggiungere o togliere l’amicizia, e anche bacheca, postare, commento e profilo che in relazione ai social hanno acquisito nuovi significati. Conseguenze rilevanti si sono prodotte anche sul piano della punteggiatura: si fa ricorso ai punti esclamativi e interrogativi e alle emoticon poste alla fine della frase che possiamo definire come punteggiatura espressiva.
Si osserva anche il ritorno ad alcune modalità grafiche quali la scriptio continua. In particolare l’uso degli hashtag, ovvero delle etichette (#) per aggregare dei contenuti per argomento, favorisce una scrittura senza spazi, come avveniva nelle iscrizioni latine con la scriptio continua. E’ quindi vero che questi cambiamenti linguistici sono velocissimi, ma lo sono altrettanto nell’essere superati. Quel che permane è questo trend dei cambiamenti linguistici.
Dalla lingua della tradizione ai social: i nuovi media stanno cambiando l’italiano?
In effetti considerando che la lingua italiana si è venuta formando per effetto della tradizione letteraria, si può affermare che il linguaggio dei social opera uno stravolgimento dell’italiano scritto. Questo perché non si è più attenti al periodare, alla grammatica e ad altri elementi della comunicazione scritta, ma solo che il messaggio arrivi al nostro interlocutore, perché come abbiamo detto, i social replicano il linguaggio parlato con tutte le sue sfumature, incertezze e imprecisioni che richiedono uno sforzo cooperativo da parte del nostro interlocutore.
Quando l’italiano diventa la lingua degli italiani? In effetti l’italiano è diventata una lingua usata nella comunicazione parlata dalla maggior parte della popolazione solo in tempi recenti. Se ripercorriamo in breve la storia della nostra lingua, vi è da sottolineare che soltanto negli anni 60′ grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, ovvero tv e radio, si raggiunge l’italofonia piena. Con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, l’italiano ha cominciato ad essere parlato da tutta la popolazione. Pertanto solo quando gli italiani sono diventati italofoni hanno preso avvio anche da noi quei processi di cambiamenti linguistici già in atto altrove.
In effetti per circa settecento anni l’italiano è stato quello aureolato e coronato di lauro che ci ha tramandato la tradizione letteraria, che ha eletto a modello di stile e bello scrivere la prosa del Decamerone di Boccacio. In effetti, sia pure con qualche difficoltà a seconda del grado di alfabetizzazione, ancora oggi riusciamo a leggere un testo come la Divina Commedia. Dallo scrivere ornato con le figure retoriche, con l’avvento dei social, possiamo dire che si è passati al parlare spedito: dal periodare lambiccato dei costrutti alla latina che infiorettava la prosa degli scrittori rinascimentali tramandata nei secoli, pratica sopravvissuta anche nella stesura delle leggi, nell’oratoria avvocatesca, alla velocità e immediatezza della lingua ai tempi di internet. Pertanto si è assistito alla divaricazione tipica del nostro paese, per cui da un lato abbiamo l’italiano colto e formale insegnato nelle scuole e l’italiano parlato fuori dalla scuola nella vita di tutti i giorni.
Tra le caratteristiche più rilevanti di questo italiano parlato possiamo rintracciare una progressiva semplificazione del paradigma verbale, in particolare la scomparsa del congiuntivo. E’ quindi accaduto che nel momento in cui l’italiano ha cominciato effettivamente ad essere parlato nella vita di tutti i giorni, questo italiano dell’uso medio così definito dagli studiosi, ha preso a discostarsi da quello imbellettato dei classici della letteratura, impolverato da secoli nelle pergamene, incunaboli e tomi delle biblioteche. La lingua della cultura, in questo passaggio dalla scrittura al parlato, ha perduto la sua cifra elitaria per diventare la lingua di tutti.
Social e lingua: verso una normalizzazione della scrittura?
Negli ultimi anni in cui l’uso della rete è diventato sempre più diffuso, si assiste a un ritorno al rispetto delle norme linguistiche, dalla grammatica alla sintassi, e quindi a un processo che possiamo definire di normalizzazione della scrittura. Anche su internet comincia a diffondersi l’uso del lei che va pian piano soppiantando l’uso indiscriminato del tu telematico mutuato dagli inglesi presente ai primordi della comunicazione in rete. Insomma anche su internet si iniziano a replicare le forme che contraddistinguono l’educazione nell’interazione tra persone nella vita reale.
Tuttavia il rischio è che le nuove generazioni si possano disabituare del tutto alla scrittura materiale o peggio ancora conoscere solo quella che utilizzano quotidianamente sui social, su WhatsApp. Un tempo alla scuola si chiedeva di insegnare ai ragazzi due competenze fondamentali: leggere e scrivere. Ebbene sarebbe forse il caso di tornare a insistere su questi aspetti per far sì che i ragazzi, oltre che ricevere una alfabetizzazione alla cultura digitale e utilizzare le modalità comunicative che preferiscono, conoscano anche la scrittura materiale. Insomma la carta e penna, per usare una formula in breve e quindi la riscoperta del processo materiale della scrittura, renderebbe i giovani maggiormente edotti circa la complessità dello strumento linguistico.
Aspetto questo che non può essere curato se l’unico rapporto che i ragazzi hanno con la scrittura si esplica solo col digitare testi sulla tastiera del pc o al cellulare. In effetti non è raro riscontrare strafalcioni, errori e orrori grammaticali da parte degli utenti che frequentano i social. I social si palesano quale fiera del pressapochismo e della superficialità, una agorà virtuale lastricata di ignoranza, a parte rare e lodevoli eccezioni. Wittgenstein scriveva che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. Insegniamo ai ragazzi ad ampliare i confini del loro mondo, solo così potranno pescare dal vocabolario le parole per raccontarlo e descriverlo.
Marco Troisi