Rino TommasiRino Tommasi

La “veronica”. Il “3-0 pesante”, la “palla calante” e la “volée perdente”, il “diritto anomalo”, i tennisti “che rivelavano le umili origini”, il “ricamo”, il “ricamino”. C’è qualche fortunato, là fuori, che conserva (in un caveau, supponiamo) “Circoletti rossi”: il manuale-bignami per parlare al mondo di Rino Tommasi con i neologismi. E ancora punteggio isoscele, volée agricola e nastro azzurro.

Morto a 90 anni Rino Tommasi, da ‘palla calante’ a ‘diritto anomalo’: così riscrisse il linguaggio del tennis

L’esperanto del grande giornalismo italiano. Fatto di parole e numeri, tantissimi numeri. Sarcasmo e statistica. Ritornelli, aneddotica, quotidianità d’un secolo di sport tradotto agli italiani e ai posteri da una voce che s’è spenta a 90 anni, silenziosa già da troppo, ma pervasiva e presente anche nella sua assenza. Un sottofondo, una quinta della vita. É morto,  Rino Tommasi. Ma non c’è verso di prenderla come una fine.  Rino Tommasi  è un’agiografia in auto-composizione. E’ stato giornalista, conduttore televisivo, telecronista e promoter di pugilato.

Con Gianni Clerici duetti indimenticabili

Un gigante. La sponda di Gianni Clerici nel tennis in tv elevato ad istallazione artistica. Il suo infinite jest. “Oh bongo, bongo, bongo stare bene solo al Congo non mi muovo no, no. Bingo, bango, bengo, molte scuse ma non vengo, io rimango qui”. Quello, sì. Anche. In un periodo storico in cui il giornalismo sportivo in tv – su Telepiù – riassumeva in studio, tutti assieme, Tommasi, Gianni Clerici, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Gian Paolo Ormezzano e Paolo Garimberti.

Un pomeriggio qualsiasi. Ha attraversato il secolo breve, allungandolo come un elastico fino a tenderlo per vastità d’interessi, cultura, predisposizione all’approfondimento. Senza spezzarlo mai: dal 1953, all’agenzia “Sportinformazioni”, poi in Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Messaggero, Gazzettino di Venezia, il Mattino di Napoli, il Tempo, mentre dal 1959 al 1970 con la sua ITOS (Italiana Organizzazioni Sportive), diventava il primo e più giovane organizzatore italiano di eventi di boxe.

La tv: direttore dei servizi sportivi di Canale 5, quando Berlusconi comprò i diritti dello sport americano. Rino Tommasi parlava fluentemente inglese quando non era per nulla scontato. Conosceva a memoria tutto il pugilato minuto per minuto. Era esperto di tennis, certo, ma anche di football americano, della NBA di Magic Johnson e Larry Bird, di baseball e della grande hockey di Wayne Gretzky. “Nel 1986 a New York, Bill Cayton mi fece vedere le immagini di uno sconosciuto peso massimo. Mi è bastato qualche minuto: ho comprato quella videocassetta e i diritti televisivi dei successivi incontri di quel pugile. Era Mike Tyson”. Non gli piacevano “i film in cui si vede il pugilato finto. Il primo Rocky sarebbe stato perfetto se fosse finito al primo colpo di gong”. 

Rino Tommasi e Gianni Clerici
Rino Tommasi e Gianni Clerici

Tennis Writer of the Year

Tommasi fu per due volte il “Tennis Writer of the Year” dell’Atp, votato dai tennisti. Sampras, Agassi, Edberg, Becker, Lendl. “A conferma del basso livello culturale dei migliori tennisti italiani”, ci scherzava lui. Però Gianni Brera lo definì “uno dei più culti giornalisti sportivi in assoluto. Un cervello essenzialmente matematico però capace di digressioni etico-fantastiche. Io lo chiamo professore senza la minima ombra di esagerazione scherzosa”. Nel 1991 firmò per Telepiù e diede allo sport in Italia un’altra dimensione narrativa. Inventò la seconda voce. Lo specchio deforme del racconto. 

Tommasi&Clerici, il duetto scanzonato, la telecronaca irreplicabile. Non c’era più noia, non era più un’idea preventivabile. A volte bastavano loro, loro e basta. Era severo, autorevole, fisicamente ingombrante. Sobrio, elegante, colto. Poi rendeva tutto in una battuta. “Con Gianni commentiamo le partite come due amici che si ritrovano davanti alla tv.

Ci pagano per svolgere un lavoro per il quale pagheremmo noi”, diceva. Gianni, “il dottor Divago” lo chiamava. Poi “ComputeRino” si perdeva nelle cifre, nella matematica. con una dedizione maniacale e una memoria quasi imbarazzante: “I computer – diceva – sanno fare di conto, ma non conoscono il tennis”. Lui faceva meravigliosamente tutto. Raccontava. Faceva di conto. Amava. 

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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