Con i suoi film e le sue serie televisive, tra cui “Velluto blu“, “Cuore selvaggio“, “Mulholland Drive” e “I segreti di Twin Peaks“, ha ritratto un’America apparentemente bucolica, per poi rivelarla brulicante di mistero e toni macabri: il regista e sceneggiatore statunitense David Lynch, che ha impresso al cinema americano una visione artistica oscura e surrealista, è morto all’età di 78 anni.
Il regista David Lynch è morto all’età di 78 anni: ‘C’è un grande vuoto nel mondo ora’
Lynch aveva rivelato nella scorsa estate che gli era stato diagnosticato un enfisema dopo una vita di fumo e che probabilmente non sarebbe più stato in grado di uscire di casa per dirigere altri film. La sua famiglia ha annunciato la sua scomparsa in un post su Facebook, scrivendo: “C’è un grande vuoto nel mondo ora che non è più con noi. Ma, come diceva lui, ‘Tieni gli occhi sulla ciambella e non sul buco’”.
Affermatosi come uno dei registi più innovativi del cinema contemporaneo grazie a film come “The Elephant Man”, “Dune”, “Fuoco cammina con me”, “Strade perdute”, “Una storia vera” e “Inland Empire – L’impero della mente”, l’opera di Lynch è caratterizzata da luoghi misteriosi, difficili da decifrare, frutto di una ricerca continua e orientata in più direzioni sul potere evocativo e significante dell’immagine in movimento. Cineasta molto amato in Europa, è stato premiato al Festival di Cannes con la Palma d’oro per “Cuore selvaggio” (1990) e con il premio per la miglior regia per “Mulholland drive” (2001).
I successi al Festival di Cannes con Cuore selvaggio e Mulholland drive
Nato a Missoula (Montana) il 20 gennaio 1946, dopo essersi dedicato alla pittura e alla sperimentazione artistica, nel 1970 Lynch si iscrisse ai corsi del Center for Advanced Film Studies a Los Angeles. Fu qui che, dopo cinque anni di lavoro e numerose difficoltà produttive, portò a termine il suo primo film quasi completamente autoprodotto, “Eraserhead ‒ La mente che cancella” (1977).
Dopo una prima uscita fallimentare nei circuiti commerciali, il lungometraggio divenne un oggetto di culto, tanto da essere proiettato per anni e con successo negli spettacoli di mezzanotte: in quest’opera lavorò sulle possibilità del cinema di mettere in scena la materia organica e inorganica, mentale e fisica, sovrapponendo diversi livelli di realtà.
Il regista e produttore Mel Brooks, rimasto colpito da questo film, volle affidare a Lynch la regia di “The elephant man” (1980), la storia vera di un uomo affetto da una rara malattia, John Merrick (interpretato da John Hurt), che ne deturpava orribilmente il volto e il corpo, ambientata nella Londra vittoriana. Il film fu un grande successo e ottenne otto nominations all’Oscar e vari premi in festival internazionali.
Il successo del film spinse il produttore Dino De Laurentiis a contattare il regista per dirigere un film tratto da un romanzo dello scrittore di fantascienza Fank Herbert. Dopo una lunga serie di vicissitudini produttive, “Dune” (1984) uscì sugli schermi di tutto il mondo, ma con numerosi tagli e rimaneggiamenti in fase di montaggio e fu un insuccesso, in gran parte dovuto al prodotto finale, lontano dalle intenzioni dell’autore.
Le nomination all’Oscar con Velluto blu e la scena audace di Isabella Rossellini
L’idea di una metamorfosi del corpo come forma per indagare i livelli molteplici della realtà troverà spazio anche in “Velluto blu“, con cui ottenne una nomination all’Oscar per la regia: il film fece molto discutere, soprattutto per una scena di nudo di Isabella Rossellini, allora moglie del regista. Lynch intese “Velluto blu” come un noir dallo stile personale in cui l’inquietudine costante che lo domina viene costruita attraverso un linguaggio filmico innovativo: l’ambiguità tra l’evento reale e la dimensione onirica, quasi astratta, della rappresentazione giunge qui a un’ulteriore fase di perfezionamento. In quegli anni l’attività di Lynch ha spaziato in diverse direzioni: dalla televisione, dove ha diretto o prodotto serie come “Twin Peaks” (1990-91), “On the air” (1991-92) e spot pubblicitari, alla pittura e al disegno.
In particolare “I segreti di Twin Peaks“, uno dei suoi maggiori successi, ha scardinato i codici del serial televisivo, permettendo al regista di estendere la durata della narrazione e alla vicenda di svilupparsi in molteplici direzioni, assumendo il ritmo di una deriva continua.
La consacrazione internazionale di Lynch è giunta con Cuore selvaggio (1990), basato su un romanzo di Barry Gifford: il film mette in scena il mondo visto dai due protagonisti, Sailor e Lula, in perenne fuga da una costa all’altra degli Stati Uniti. Lo sguardo deformante della macchina da presa lascia emergere un mondo fiabesco e crudele al tempo stesso, che scorre al ritmo frenetico del montaggio e della musica di Angelo Badalamenti, diventato uno dei collaboratori fissi di Lynch a partire da “Velluto blu”.
Il successo in tv con I segreti di Twin Peaks
Negli anni successivi è tornato alle atmosfere e ai luoghi di “Twin Peaks”, realizzando un film sugli ultimi giorni della vita di Laura Palmer (il serial iniziava con la scoperta del suo cadavere), “Fuoco cammina con me” (1992), la cui complessità narrativa e la cui oscurità hanno sconcertato i fan della serie televisiva dimostrando però ancora una volta la capacità di Lynch di utilizzare il cinema come dispositivo in grado di destrutturare i codici e le forme preesistenti.
La sua ricerca nell’ambito delle strutture generative della ‘settima arte’ è proseguita con i successivi “Strade perdute” (1996), “Una storia vera” (1999) e “Mulholland Drive” (2001), film in cui è il movimento stesso, inteso come forma del cinema, a essere esplorato in una ideale trilogia sulla velocità e la lentezza dell’immagine.