La decisione della Corte d’assise di Bergamo viene accolta con stupore dai familiari di Sharon Verzeni. Il papà Bruno, la mamma Maria Teresa, la sorella Melody e Sergio Ruocco, compagno della donna uccisa a coltellate a Terno d’Isola la notte tra il 29 e il 30 luglio scorso, hanno gli occhi lucidi quando, al termine della prima udienza del processo per l’omicidio della loro cara, commentano l’ordinanza con cui i giudici hanno disposto la perizia psichiatrica sull’indagato, il 30enne reo confesso Moussa Sangare.
Il papà di Sharon Verzeni: ‘Sorpresi confidiamo nella Corte’
“Siamo sorpresi ma confidiamo nella Corte e nel fatto di ottenere giustizia”, si limita a dire papà Bruno lasciando l’aula. Per la prima volta il genitore ha incrociato l’uomo che ha ucciso a coltellate, senza alcun motivo, la figlia che ascoltava la musica con le cuffiette mentre faceva jogging e “guardava le stelle”. Arrestato circa un mese dopo il delitto, l’italiano di origini africane con velleità da rapper non ha rivolto neanche lo sguardo a quel padre e agli altri famigliari della donna uccisa “a caso”. Capelli corti e barbetta, jeans e giubbotto di un college americano – ha borbottato soltanto una parola prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio: “innocente”, “sono innocente”. Il suo legale, l’avvocato Giacomo Maj, ha chiesto e ottenuto che sia valutata la capacità di stare in giudizio e di intendere e di volere di Sangare al momento dell’omicidio.
L’11 marzo la nomina del perito
Il pm Emanuele Marchisio si era opposto alla perizia sulla capacità di stare in giudizio, lasciando alla valutazione della Corte la seconda anche se – ha sottolineato – il comportamento dell’uomo, subito dopo l’omicidio, non era stato folle bensì “raziocinante” e caratterizzato da “apatia morale”. Si sono opposti ad entrambe le perizie i familiari di Sharon che ora, assistiti dall’avvocato Luigi Scudieri, stanno valutando di nominare un loro consulente. Nell’udienza del prossimo 11 marzo sarà nominato il perito che dovrà valutare se sia una patologia o meno quel “feel”, quell’ossessione di fare del male a qualcuno che l’uomo ha raccontato di aver avuto la notte del delitto.
Un impulso irrefrenabile, secondo la ricostruzione dei fatti dell’uomo, che agli inquirenti ha raccontato anche dove si trovava il coltello usato per colpire Sharon Verzeni, preso da un ceppo nella casa abbandonata di un amico in cui viveva. Poi, per evitare di essere riconosciuto, aveva modificato la sua bicicletta e si era anche tagliato le treccine. Trucchi che gli hanno permesso di vivere indisturbato per un mese, fino a quando la testimonianza di due immigrati, che la notte della morte di Sharon l’avevano visto aggirarsi per Terno d’Isola, hanno permesso agli inquirenti di identificarlo e di fermarlo con l’accusa di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione per futili motivi.
Moussa Sangare: ‘É stato un amico di quella ragazza’
“É stato un amico di quella ragazza, li ho visti litigare, io non c’entro”, è stata una delle numerose bugie dette da Sangare prima di crollare e di confessare quello che aveva fatto. La sua difesa ha anche chiesto che sia acquisito un video durante il quale in casa, alla presenza della madre che lo ha denunciato per maltrattamenti, parlava coi defunti. Moussa era stato cacciato di casa perché aveva minacciato la sorella con un coltello.
Nella sua abitazione, senza acqua ed energia elettrica, era stata trovata una sagoma di cartone con i segni di alcune coltellate. Il trentenne si divertiva a lanciare le lame, ma non aveva ancora intenzione di uscire di casa per fare male a qualcuno come è poi accaduto in quella tragica notte di mezza estate ai danni di Sharon. Vittima senza motivo, incontrata causalmente, di un delitto senza spiegazione.