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Omicidio Maria Turturo, il marito si toglie la vita in carcere: ‘Sono le preghiere che abbiamo fatto’

Giuseppe Lacarpia e Maria Arcangela Turturo

Giuseppe Lacarpia e Maria Arcangela Turturo

Si è tolto la vita in carcere due settimane dopo aver ucciso la moglie, mettendo così fine a un dramma familiare iniziato lo scorso 6 ottobre. Giuseppe Lacarpia, 65enne di Gravina in Puglia (Bari), è stato ritrovato morto la notte tra lunedì 21 e martedì 22 ottobre nella sua cella del carcere di Bari che condivideva con altri sette detenuti.

Giuseppe Lacarpia aveva dato fuoco alla moglie in auto e poi l’aveva strangolata

Gli agenti di polizia penitenziaria, intervenuti intorno alle 2:00 di notte su segnalazione dei compagni di cella. Hanno trovato Lacarpia senza vita, steso nel suo letto con un lenzuolo legato al collo e attaccato, dall’altra parte, alle sbarre del letto. I tentativi di soccorso si sono rivelati inutili. La Procura di Bari ha disposto l’autopsia. L’uomo si trovava in carcere dal 6 ottobre con l’accusa di aver ucciso la moglie, la 60enne Maria Arcangela Turturo: per gli inquirenti, quella stessa notte avrebbe dato fuoco alla sua auto mentre la donna si trovava ancora all’interno e poi, quando la vittima ha provato a fuggire, l’avrebbe uccisa a mani nude.

I due avevano appena trascorso la serata in un ristorante di Gravina insieme ai figli e ad altri parenti per un compleanno. La donna è morta nell’ospedale di Altamura in cui era stata trasportata con ustioni e diverse fratture, ma alla figlia Antonella e ad un poliziotto ha indicato nel marito l’autore delle aggressioni: “Mi voleva uccidere, mi ha messo le mani alla gola. Mi ha chiuso in macchina con le fiamme”, ha detto la donna, come riportato negli atti degli inquirenti. Fermato poche ore dopo il fatto, Lacarpia è stato incastrato da un video girato da una ragazza che in quel momento passava di là con alcuni amici. Nelle immagini si vede l’uomo immobilizzare la donna a terra.

Il suicidio nel carcere di Bari, l’allarme lanciato dai compagni di cella

“Ho provato a rianimarla, avevo fatto un incidente e la macchina ha preso fuoco”, ha detto alla gip durante l’interrogatorio. La giudice ha riconosciuto nei suoi confronti l’omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e della crudeltà: “Ha infierito sulla moglie, riprendendo la condotta pochi secondi dopo essersi fermato, a dimostrazione dell’intenzione di eliminarla, verosimilmente per impedirle di denunciarlo”, si legge nell’ordinanza firmata dalla gip Valeria Isabella Valenzi.

E il presunto tentativo di rianimazione, per la giudice, sarebbe solo “una versione di comodo”, in quanto “emerge benissimo dal video che l’uomo non ha minimamente messo in sicurezza la moglie, ma che l’ha, al contrario, aggredita. Inoltre, i primi rilievi sull’origine dell’incendio, suggeriscono che questo abbia avuto matrice dolosa”. Proprio la figlia Antonella ha commentato il suicidio del padre su Facebook con sei emoticon festanti.

La figlia pubblica 6 emoticon festanti: ‘Sono tutte le preghiere che abbiamo fatto per mamma’

Sono tutte le preghiere che abbiamo fatto per mamma” – ha scritto poi rispondendo a un messaggio della cugina. E sempre la figlia, agli inquirenti, ha rivelato come il padre avesse già provato il suicidio in altre occasioni e che, a causa dei suoi disturbi psichiatrici (era affetto da Alzheimer e demenza senile), da due anni aveva iniziato a seguire una terapia farmacologica. Nelle sue parole anche il racconto di un padre violento che, in passato, aveva aggredito fisicamente la moglie e i figli in diverse occasioni. Ma le patologie, per la gip che ne ha disposto la carcerazione, non avrebbero avuto rilievo nella dinamica dell’omicidio: “Non vi sono seri dubbi, in questa fase, in merito all’imputabilità” del 65enne.

Poche ore dopo essere entrato in carcere, Lacarpia era stato trasportato al Policlinico di Bari per le conseguenze di una caduta dal letto della sua cella. E, per questo, la convalida del suo fermo era avvenuta in sua assenza e il suo interrogatorio posticipato di una settimana. Ieri aveva chiesto e ottenuto un permesso per visitare la tomba della moglie nel cimitero di Gravina. Oggi, l’ultimo capitolo di questa tragica storia. 

Redazione
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Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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