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4 Dicembre 2024 - 21:51Giulia Cecchettin è stata uccisa “non solo” dalla “mano violenta” di Filippo Turetta. É stata uccisa dalla “giustificazione e dal menefreghismo” verso tutti quei segnali che anticipano i femminicidi. É una reazione durissima quella che Elena Cecchettin affida alle storie di Istragram per commentare la sentenza che ha condannato l’ex fidanzato 23enne della sorella all’ergastolo, senza però riconoscere l’aggravante della crudeltà e dello stalking.
La rabbia della sorella di Giulia Cecchettin per le aggravanti non riconosciute a Filippo Turetta
Non riconoscere quell’aggravante, dice la sorella di Giulia che con la sua forza ha cambiato la narrazione sui femminicidi e imposto la discussione sul tema come mai era avvenuta prima, significa non solo mancare di rispetto alla famiglia. È “l’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne”. Sei vittima “solo se sei morta, quello che subisci in vita te lo gestisci da sola”.
E invece la violenza di genere “non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno, ma molto prima” é il suo ragionamento che si conclude con una domanda: “quante donne non potranno arrivare in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi viene riconosciuta la colpa?”. Parole che arrivano proprio nel giorno in cui suo padre, Gino Cecchettin , con le istituzioni stringe un patto per fare in modo che altri padri, madri, fratelli e sorelle non devono piangere altre Giulie.
Elena Cecchettin: ‘Sei vittima solo se sei morta’, Gino Cecchettin firma protocollo d’intesa con il Ministro Valditara
Al ministero dell’Istruzione e del Merito il papà di Giulia e il ministro dell’Istruzione Valditara, dopo un faccia a faccia di oltre un’ora, firmano un protocollo d’intesa che consentirà alla Fondazione nata nel nome della studentessa di portare avanti nelle scuole la sua “missione”, per promuovere la cultura del rispetto e dell’educazione. “Abbiamo un obiettivo comune – ha detto Valditara – che è quello di combattere la violenza contro le donne. Ci interessa lavorare insieme concretamente, seriamente. Vogliamo lavorare, abbiamo stilato una serie di possibili interventi, innanzitutto un protocollo tra la Fondazione Cecchettin e il ministero per individuare delle azioni comuni, che passino fra l’altro anche per la formazione dei docenti all’interno del percorso di educazione civica che prevede per la prima volta l’educazione al rispetto e l’educazione al rispetto per le donne”
L’intesa prevede anche l’organizzazione di incontri per i giovani, la creazione di un gruppo di lavoro congiunto e la verifica dei risultati ottenuti. Tutto per far sì che quella cultura del rispetto diventi patrimonio comune. É appunto ciò che si propone Cecchettin con la fondazione intitolata a Giulia: “E’ il principio della cooperazione – ha detto – verso obiettivi comuni. Penso che noi per primi abbiamo dato un segnale di rispetto per le persone, con questa riunione. Oggi ci siamo trovati per parlare di un problema sociale esistente, dai femminicidi alla violenza sulle donne al rispetto reciproco tra i sessi. Lavoreremo su questo”.
Recapitata una busta con tre proiettili al legale di Turetta, il 23enne sta imparando a suonare uno strumento in carcere
Una sentenza che ha turbato e che ha visto anche recapitare nelle ultime ore una busta con tre proiettili allo studio dell’avvocato Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta che ha trascorso in carcere a Verona la prima notte dopo la condanna alla massima pena. Ai volontari del carcere veronese il ragazzo è apparso “distrutto” e “con evidenti problemi psicologici” . Continua a essere detenuto nella terza sezione – quella dei delitti gravi – in cella con altri compagni non lavora, frequenta un corso di perfezionamento di inglese, legge libri, e pare sta imparando a suonare uno strumento.
La condanna alla massima pena – come hanno ricordato in aula anche il pm ei vari legali – non vuol dire “fine pena mai”. Di comportamento esemplare dopo 10 anni (ma uno è già scontato, quindi sono 9) gli potranno venire accordati dei permessi per frequentare percorsi formativi professionalizzanti all’interno o all’esterno del carcere. Dopo 26 anni – 21 se il comportamento sarà irreprensibile – sarà possibile ottenere la semilibertà. Il tutto comunque dopo il vaglio del Tribunale di Sorveglianza, e dopo che la condanna sarà diventata definitiva.