Lavinia travolta e uccisa nel parcheggio dell'asiloLavinia travolta e uccisa nel parcheggio dell'asilo

L’incidente nel parcheggio dell’asilo a Velletri

La Corte d’appello di Roma ha confermato le condanne stabilite dalla sentenza di primo grado del tribunale di Velletri sul caso della piccola Lavinia Montebove, investita da una macchina nel 2018 all’età di 16 mesi nel parcheggio dell’asilo nido ‘La Fattoria di Mamma Cocca‘ nella cittadina laziale.

Morte Lavinia Montebove, Appello conferma sentenza I grado

La bimba da allora vive in stato vegetativo. Per il fatto erano state condannate a due anni e 6 mesi la maestra Francesca Rocca, per lesioni colpose gravissime stradali e abbandono di minore, e a un anno l’investitrice Chiara Colonnelli (lesioni colpose gravissime stradali con patente sospesa per un anno). Per i giudici d’appello la maestra ha tenuto una condotta imprudente e omissiva tale da esporre Lavinia al rischio di investimento stradale. Con violazione dei suoi doveri come figura di garanzia che doveva vigilare sulla bimba.

L’altro capo di imputazione è abbandono di minore perché la donna ha abbandonato gli altri bambini presenti nell’asilo per portare Lavinia Montebove in ospedale, senza chiamare il 118. Chiara Colonnelli, l’investitrice, è stata invece imprudente nella guida. Nel suo caso la condanna, essendo inferiore a due anni, è sospesa.

‘Sentenza che auspicavamo, nessuno ci ridirà Lavinia’

”È una sentenza che auspicavamo e che rende giustizia, che ha riconosciuto in Appello la correttezza di quanto è stato fatto in primo grado, soprattutto per Lavinia”. Così Massimo Montebove e Lara Liotta, i genitori di Lavinia, dopo la sentenza di Appello a Roma che ha confermato le condanne per la maestra e la donna alla guida dell’auto che nell’agosto 2018 ha investito la loro figlia, da allora in coma vegetativo.

”Nessuno ci ridarà la Lavinia di prima ma la giustizia italiana in due gradi di giudizio ha stabilito con certezza che c’è stata una responsabilità. Era quello che chiedevamo – aggiungono – La nostra è stata sempre una richiesta di giustizia e non di vendetta, soltanto una richiesta di verità”

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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