Una sorta di miniera. Così appaiono le 240 pagine della perizia medico-legale fatta sul corpo di Liliana Resinovich dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo e da Vanin, Tambuzzi e Leone. A una lettura più attenta emergono particolari che confermano quanto già si è diffuso nei giorni scorsi avvalorando da un lato l’idea che non potesse trattarsi di un suicidio e dall’altro gli interrogativi su come si sia potuto pensare a una forma di autolesionismo visti i visibili elementi che i quattro esperti hanno ordinato e classificato.
Lesioni sul volto e sulla mano destra di Liliana Resinovich
A cominciare dal volto di Liliana: “Era attinto da lesioni non solo anteriormente, ma anche alla superficie laterale destra e sinistra. A seguire, poi, la mano destra”. Si parla complessivamente di “quattro poli d’urto (colpi) diversi”. La relazione, tanto per essere chiari, esclude “un evento accidentale come una caduta” perché “sarebbe necessario che questa fosse avvenuta in maniera rocambolesca, con un rotolamento o un movimento tale da fare urtare il volto più volte contro una superficie piana o ottusa”. I quattro poli d’urto, inoltre, “hanno interessato differenti distretti corporei (testa e mano, nonché possibilmente anche altre sedi corporee), con anche più lesioni in un medesimo segmento corporeo, coinvolgendo differenti superfici”.
Uccisa con una manovra di afferramento
Da un punto di vista tecnico, anche considerando soltanto quelle certe, relative “a diversi distretti del capo (fronte sinistra, temporale di destra, labbro di destra e mano destra)” le lesioni sono “da interpretarsi come differenti poli d’urto di una lesività a distribuzione polidistrettuale”. Trova conferma anche la dinamica dell’omicidio: sarebbe stato un movimento di iperflessione o iperflessione combinata con forze di rotazione del segmento cervico-toracico”, il cosiddetto “chokehold” (shime-waza nel judo). Una manovra semplice e letale se effettuata energicamente.
Anche qui la perizia è molto chiara: “Manovra di afferramento da tergo con incavo dell’avambraccio dell’aggressore che avvolge il collo”. Combinazione tra movimento e forze “prospettabile in caso di soffocazione esterna diretta con afferramento e compressione almeno di una parte del volto, specie se inserita in un contesto di colluttazione o comunque di movimenti compiuti dalla donna nel tentativo di divincolarsi e di immobilizzare da parte dell’aggressore”.
Nella minuta corporatura di Liliana questa manovra ha causato la “frattura perimortale alla faccetta articolare superiore sinistra della vertebra toracica T2”. Si tratta di una frattura con aspetto perimortale, cioè la lesione è stata prodotta quando l’osso manteneva ancora le sue proprietà elastiche e, dunque, in un momento poco prima o poco dopo il decesso. Cattaneo e gli altri consulenti ricordano che la relazione medico legale firmata nel 2022 da Fulvio Costantinides e Fabio Cavalli concludeva per “una morte asfittica tipo spazio confinato, ‘plastic bag suffocation’ (Pbs) senza chiara evidenza di azione di terzi”.
Ribaltata la prima perizia
Ma, obiettano, il suicidio con pratica Pbs viene scelta, di solito, da soggetti adulti maschi affetti da depressione o da malattie croniche o terminali, che hanno fissato la busta di plastica al collo con un cordino o altra legatura “elemento presente anche nei casi di Pbs omicidiaria”. Ma, rilevano i quattro periti, è rilevante come “in questi scenari c’è l’assenza di qualsivoglia lesione”, al contrario di quanto riscontrato su Liliana. E ancora, chi sceglie di morire in questo terribile modo assume prima di morire “sostanze stupefacenti, alcol o farmaci”. Un fattore che l’esame tossicologico ha escluso per la Resinovich.