Nada CellaNada Cella

Processo a Genova, colpo di scena con la testimonianza del fratello dell’imputata

Un colpo di scena a margine del processo per l’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria del commercialista Marco Soracco uccisa nello studio nel lontano 1996 a Chiavari (Genova), un giallo mai risolto. Al dibattimento in corso a Genova contro Annalucia Cecere, imputata per il delitto, martedì 15 aprile è stato sentito suo fratello Maurizio, il quale, parlando fuori dall’aula con i giornalisti, ha detto:

“Mia sorella può avere ucciso. Se viene contraddetta diventa di una cattiveria impressionante. Se Nada quel giorno le ha risposto male, magari ha cominciato a colpirla”.

‘È sempre stata irascibile

Parole che vanno a sposare la tesi dell’accusa, secondo la quale l’omicida avrebbe ucciso per un raptus di gelosia Nada Cella. In aula, l’uomo però ha detto altre cose, confermando che la sorella è una donna irascibile. Maurizio ha spiegato che, dopo avere saputo che le indagini erano state riaperte e la sorella era coinvolta, ha iniziato a farle domande.

“Mi ha detto che non era stata lei a ucciderla. Lei non voleva parlare al telefono, mi diceva che poteva essere intercettata e mi chiamava con telefoni non suoi. È sempre stata una donna irascibile, che si arrabbiava se la contraddicevi. Se ha sbagliato deve pagare”.

Prima di lui, i giudici hanno ascoltato la testimonianza di un ex fidanzato, Adelmo Roda.

“Era possessiva e gelosa – ha spiegato in aula – quando si arrabbiava era impossibile farla ragionare. Era esplosiva a livello di parole. Mia madre disse che dovevo lasciarla perché aveva un figlio. Ho continuato a vederla quando ci lasciammo, ci vedevamo alla Dolce Vita a ballare. Io andavo con la mia comitiva, lei con la sua. L’ho vista anche con Soracco. Quando sono state riaperte le indagini mi cercò: continuava a farmi domande sulla nostra relazione, continuava a dire che era finita dopo l’omicidio di Nada, ma in realtà era finita prima”.

L’ex fidanzato: ‘Possessiva e gelosa’

Una delle prove andate perdute è un bottone di una giacca che l’imputata, secondo l’accusa, aveva perso sul luogo dell’omicidio. Bottoni simili a quello trovato tra il sangue della vittima erano anche a casa della Cecere ma in seguito andarono perduti.

“Per quanto riguarda i bottoni sapevo che li aveva tolti dalla mia giacca perché le piacevano. Ma io quella giacca l’avevo ripresa quando era finita la nostra storia, quindi prima dell’omicidio”, ha detto oggi l’ex fidanzato.

Sempre sui bottoni, è stato sentito un collezionista ed ex produttore, Stefano Cannara, che ha confermato che il bottone trovato sotto il corpo della segretaria era compatibile con quelli trovati a casa della Cecere pochi giorni dopo il delitto. Ma che erano anche molto diffusi.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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